martedì 7 febbraio 2012

Sud America, Ande

L'anno 2009 fu un anno particolarmente tormentato. Un grande colpo di scure si stava abbattendo sulla mia vita e sentivo la necessità di andare a riflettere lontano. Non ci misi molto quella sera di Gennaio a decidere il luogo, il Perù. Da molto tempo fantasticavo di zampettare sugli altipiani andini, così pochi giorni dopo ero già in volo.
Preparai il mio solito zaino: abbigliamento tecnico, tenda, fornello, sacco a pelo estremo, insomma tutto l'occorrente per attraversare le Ande a piedi sino a Machu Picchu.
Molto genericamente il Sud America si prospettava, stando alle voci, come un luogo particolarmente pericoloso per la criminalità, quindi mi caricai  psicologicamente per affrontare quelle regioni con la massima cautela. Atterrai e Lima dove decisi di trascorrere un paio di giorni. Non avevo fatto un itinerario preciso, decisi di lasciare spazio agli eventi come si sarebbero verificati. La notte che arrivai a Lima fu turbolenta. Ero stanco dal viaggio, non conoscevo lo spagnolo, e tutto mi sembrava particolarmente ostile. Finalmente, dopo diversi tentativi, trovai una camera per dormire. Certo chiamarla camera era veramente difficile, ma il letto c'era. Il pavimento era in legno e pendeva paurosamente. La finestra verso la strada non si chiudeva per la sovrapposizione delle ante di parecchi centimetri. Neppure la porta d'ingresso si poteva chiudere, tanto che per la notte la bloccai con la cinghia della macchina fotografica. La cosa interessante era il prezzo della camera, l'equivalente di 5 euro per la notte (il prezzo più alto che trovai in tutto il viaggio).
La mattina dopo, con il sole, tutto appariva con una luce differante. I peruviani mi risultarono subito simpatici. Una bella colazione, una spremuta fresca e poi via alla scoperta di quella meravigliosa città. Mi andai ad infilare ovunque, scattai moltissime foto, visitai i mercati della frutta e della carne macellata al momento.
Le donne erano alle prese con i loro aghi per tessere oggetti in lana di alpacha ed altre delle loro pecore. Quel luogo mi rapì il cuore. Trascorsi due giorni nell'esplorazione della parte più antica e pericolosa di Lima, ma confesso di non aver avuto alcun problema.


















 Il lustrascarpe era di sicuro il lavoro più diffuso
 La carne veniva appesa, priva di qualsiasi protezione dal caldo e dalle mosche 
 Le motociclette erano modificate per poter essere usate come cassoni portatutto
 un carico di banane

 Le auto a norma non erano al primo posto nella scala delle priorità cittadine
 La via principale del centro

Una bancarella di verdura





A malincuore lasciai Lima per recarmi a Cuzco. Con un breve volo di un'ora, a bordo di un piccolo velivolo, tutt'altro che rassicurante, mi trovai catapultato a tremila metri di quota. Cuzco difatti è una cittadina tra le montagne, e per i turisti soffrire d'alta quota è un fenomeno ordinario. In un'ora passi da livello zero a tremila. La nausea e il senso di spossatezza mi colpirono all'istante.Andai con uno dei tanti taxi che transitano per le strade, alla ricerca di un posto per la notte. Trovai uno splendido albergo in stile coloniale alla modica cifra di 3 dollari a notte (con colazione). L'accoglienza fu strepitosa e vedendomi un po' pallido la proprietaria mi preparò un the. Il Coca the. Il Coca the è un the fatto mettendo in infusione le foglie di cocaina. In Perù si usa per lenire il mal di montagna, avendo la proprietà di alzare la pressione. Per stada, in drogheria, nei negozi di frutta, o dagli ambulanti, vendevano dei sacchetti di foglie al costo di un dollaro. Alcuni masticavano direttamente le foglie, per ringalluzzirsi, altri le facevano seccare e poi se le fumavano.
Con Cuzco instaurai subito un certo feeling. Mi innamorai dei suoi ritmi, della sua gente, della sua povertà e laboriosità. Tutti si inventavano un lavoro, la gente era povera ma dignitosa. Cominciai ad osservare le persone, i loro sguardi, il loro modo di muoversi, la loro cultura. Il cibo era ottimo e potevi pranzare o cenare con 1 dollaro. Spostarsi non era un problema, a piedi, con gli autobus, ma ancor meglio con i taxi. Ogni persona in possesso di una quasiasi carretta assomigliante ad un'auto e parzialmente funzionante, era un tassinaro. Ti portavano ovunque spendendo cifre ridicole. La storia millenaria che era ancora viva tra quelle case e le vie completavano il quadro che già tanto mi affascinava. Così una mattina, senza pensarci due volte, appena sveglio presi il mio zaino, tirai fuori due magliette, due mutande, due paia di calze, il coltellino serramanico, la torcia, il pile e poi richiusi lo zaino. Andai al primo ufficio postale, imballai lo zaino e lo spedii in Italia con tutto il resto. Acquistai uno zainetto fatto a mano in tessuto dalla tipica fantasia e continuai il mio viaggio. Mi sentivo libero, spensierato e leggero.Ogni volta che mi spostavo avevo sempre tutto con me, niente montagne né cammino degli Inca, volevo conoscere la gente e vivere in mezzo a loro.
Cominciò il mio peregrinare e vagabondare, presi un treno che, attraverso le Ande mi condusse sino a Aguacaliente, il crocevia del Machu Picchu. La visita al sito, uno sguardo a quelle verdeggianti montagne, incontri con le persone più diverse e tanta gioia dentro il mio cuore. Mi sentivo in pace come poche volte nella mia vita. Il viaggio continuava, nuovi incontri, nuove amicizie e solitudine voluta. Poi un grande balzo, presi un autobus, attraversai le montagne, passi oltre i 5000 metri di quota, villaggi di fango e paglia, persone al limite del primitivo, guglie di montagne innevate alte oltre 6000 metri.
Raggiunsi il lago Titicaca. Navigai nel suo ventre, la visita all'isola di Uros, le isole flottanti fatte di canne, poi due giorni trascorsi all'isola di Amantani. Proprio su quest'isola ho potuto scoprire il senso del dono.
....Da due giorni viaggiavo con due ragazzi, uno spagnolo, ed un'olandese. Insieme sbarcammo sull'isola e trovammo alloggio presso una famiglia di contadini che ci permisero di dormire nel fienile della loro stalla. Dalle assi del pavimento si vedevano le pecore sottostanti. La porta di ingresso era alta pressapoco un metro e mezzo. Il bagno era fuori, un buco scavato nel terreno con alcune assi che lo delimitavano. mangiavamo nella loro cucina, non c'era il pavimento, solo un battuto di terra pendente e pieno di buchi. Erano gente povera che non era mai uscita dall'isola. non c'era la corrente eletrica e neppure un telefono. Si cenava con le candele e ci si spostava, durante la notte sempre con quelle.
 Era come vivere in un'altra epoca. La sera che arrivai, tirai fuori la mia torcia elettrica. Venne visto dai proprietari di casa come un'oggetto alieno. L'anziano proprietario rimase poi affascinato dal mio coltello. Lo guardava mentre a tavola tagliavo il pane o altre cose. Era una persona squisita e discreta. Durante il giorno li aiutavamo nei campi o ad accudire il bestiame.
 I giorni volarono e presto ripartimmo. Il battello venne a prenderci come avevamo chiesto e fu puntuale.
 Salutammo la famiglia in un caloroso abbraccio, tutti tristi. Una volta sul battello, ancor prima che ci allontanassimo dal molo, ripensai al vecchio ed ai suoi occhi che guardavano il mio coltello. Tornai da lui, e serrato, glielo misi in mano. Non dissi nulla, ma lui si commosse stringendolo tra le mani, mi abbracciò fortemente. 
Il viaggio continuò, altri incontri e nuove esperienze avrebbero completato il mio vagabondare. Giunsi sino in Bolivia, La Paz divenne la mia casa per diversi giorni.


 Cuzco
 In treno verso Aguacaliente


 Aguacaliente


 Il Machu Picchu




Uno dei tanti mercati che si incontrano sugli altipiani andini





 tetti di Cuzco



 Isola di Uros

 Io ed i miei compagni di viaggio sull'isola di Uros
 La nostra camera dall'ingresso ...fuori misura
cucina dell'isola di Amantani




 isola di Amantani

Il viaggio in Sud America rimane il più interessante ed emozionante tra quelli che ho fatto sino ad oggi.




















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