domenica 26 febbraio 2012

karhunkierros, il sentiero dell'orso

Era il Maggio 2007, ancora una volta il cuore mi diceva di partire e le gambe erano d'accordo.
Invitai a cena il mio caro amico Paolo e gli proposi un'avventuretta a piedi da qualche parte.
Insieme di notti in tenda, sotto temporali e nevicate, ne avevamo passate a decine e la mia richiesta fu accolta, come sempre, con entusiasmo. Quando gli proponevo di andare da qualche parte in un modo o nell'altro si partiva sempre.
 Con Paolo a casa mia.... l'itinerario era segnato


 
Non sapevo bene dove andare, ma ero spinto con il pensiero verso la Scandinavia. La Norvegia era stata la mia casa per tanti giorni, e non mi sarebbe dispiaciuto ritornare.
Cercavo un percorso a piedi di un centinaio di km, o un coast to coast in qualche isola. Così, nelle nostre ricerche saltò fuori il Karhunkierros, un sentiero di 84 km in Finlandia. Avevamo circa una decina di giorni a nostra disposizione e quel tracciato, non certo difficile, sembrava esere perfetto. Così, biglietti alla mano e zaino in spalla, partimmo poco tempo dopo.
Il volo, affinchè fosse economico, fece molti scali e durò un'infinità. Con Paolo però era sempre una festa, ci divertivamo come ragazzini per ogni cosa. Conosciuti durante il servizio civile in Croce Rossa, da allora non c'eravamo più persi di vista." Due culi in un paio di braghe".
Il primo giorno lo passammo ad Helsinki, vagabondando per la città a sorseggiare birre e gustarci dei piatti prelibati. Sapevamo che da li a poco i nostri pranzi e cene avrebbero avuto un drastico tracollo, quindi non esitammo nel dimenticare le regole della dieta mediterranea e ci metemmo all'ingrasso.

Helsinki





I nostri zaini erano severamente pesanti, gli spallacci ci solcavano la pelle, eppure avevamo lo stretto necessario. Il cibo era la parte più pesante: cioccolato, pane, pasta, tonno, cibi liofilizzati , biscotti per la colazione, zucchero e barrette energetiche. Il tutto per 6 giorni.
 Il cammino si districava tutto lungo il fiume Kitkajoki, quindi non investimmo troppi pensieri nell'ipotesi di restare senz'acqua. Il sentiero, tra paludi, boschi di pini e zanzare, non era per nulla impegnativo, 84 km in "bolla". Il paesaggio, sebbene un po monotono, era piacevole. Il vero dilemma erano le zanzare, milioni di zanzare ci martoriavano tutto il giorno, una vera seccatura alla quale non ci abituammo per tutto il viaggio.
Ci trasferimmo sino a Kuusamo, prima con un breve balzo in aereo, poi con un taxi collettivo.








Proprio all'attacco del sentiero, un ufficio informazioni ci dispensò gli ultimi ragguagli e una buona cartina graduata che avremmo utilizzato con il gps. Il sentiero era comunque segnalatissimo e perdersi assolutamente impossibile.
Zaino in spalla partimmo nel tardo pomeriggio.  La luce costante delle latitudini nordiche non era una vera manna: il sole non tramontava mai, durante la notte la luce si affievoliva un po', ma potevi camminare senza accorgerti che poteva essere mezzanotte.
Ci accampammo vicino al fiume, dormendo all'interno di una capanna di tavole costruita dai pescatori. Provammo a pescare, ma senza prendere nulla. Cucinammo la nostra zuppa liofilizzata e poi a nanna.
Il sentiero era veramente ben organizzato, là dove sorgevano le capanne di legno, al fianco c'era sempre una catasta di legna da ardere con tanto di accetta e segaccio per tagliare i tronchi.
Di fronte alla casetta c'era un focolare dove poter cucinare il pesce alla griglia, o appendere le pentole a bollire (naturalmente nessuno si sarebbe mai sognato di portarsi via gli attrezzi).







Così andavano le nostre giornate, ore di cammino, e soste per cucinare i nostri graditissimi pranzetti.
La sera, stanchi, ci mancava speluccare qualche prelibatezza o sorseggiare una birra ghiacciata, ma poi crollavamo nei nostri sacchi a pelo.
A volte le zanzare ci tormentavano all'esasperazione, avevamo dei prodotti repellenti, ma sembravano ignorarli. Più tardi scoprimmo che se avessimo anticipato il cammino di una settimana di zanzare non ne avremmo incontrate neppure una.

A volte le capannette erano veri e propri rifugi. Potevi entrare, dormire nei tavolacci di legno, usufruire della legna, dei fornelli, a patto che avessi grande cura di tutto e che si lasciasse in ordine.

Un giorno, giunti ad uno di questi rifugi, dalla sponda opposta del fiume c'era un isolotto dove spiccava una di questa casette. La corrente era forte, il fondale troppo profondo, così decisi di costruire una zattera per attraversare il fiume.
Avevamo legna in abbondanza, un segaccio messo a disposizione e un cordino che mi ero portato da casa per le evenienze.
 Paolo, come al solito, mi aiutò nell'impresa, e costruimmo la zattera. Purtroppo, mentre tagliavamo i due tronchi principali, quelli che avrebbero dato una spinta maggiore al galleggiamento, la lama si ruppe. Purtroppo la zattera risultò inefficace a guadare il fiume.
La varammo, tentando il possibile, ma non sorreggeva il nostro peso.
In compenso, alcuni ragazzini venuti in campeggio, gradirono l'oggetto e si divertirono loro al posto nostro.
La cosa interessante fu che il nostro lavoretto aveva attirato l'attenzione di alcune ragazze, così quella sera la compagnia non ci mancò, neppure una bella ciucca, la prima della mia vita dato che le donzelle tirarono fuori dallo zaino ogni tipo di vodka.










La mattina successiva eravamo ancora frastornati dai vapori di tutta quella vodka,  ci ricaricammo gli zaini in spalla e proseguimmo. Il fiume era sempre al nostro fianco, le zanzare sempre più fedeli ai nostri colli, il tempo invece stava cambiando.
Una breve ed innocua precipitazione ci fece compagnia qualche ora, poi spuntò nuovamente  il sole e le zanzare sembravano ancora più felici.
Spesso tiravamo fuori le canne da pesca, ma erano solamente cappotti... e pensare che quando ero in Alaska c'erano talmente tanti salmoni che non si vedeva neppure il fondo dei fiumi. E non avevo la canna da pesca!
Durante il cammino spesso non parlavamo, eravamo assorti dai nostri pensieri e problemi che ci portavamo dietro dall'Italia. Non intavolavamo mai discussioni relativamente alle nostre vite private, forse avrebbe voluto dire immergersi in una realtà sofferente. Eravamo gelosi di quel nostro piccolo mondo e quando riuscivamo a staccare completamente la spina, sfioravamo la felicità. Camminavamo a passo lento, i nostri zaini erano circa 25 kg, le spalle e la schiena dovevamo preservarle per tutta la durata del cammino.
Il buio era una realtà dimenticata, la troppa luce e le giornate no-stop erano stancanti, non era mai ora di porre fine alla giornata. Dormivamo con la luce e camminavamo anche nel cuore della notte.

lungo il tracciato si trovano questa saune che chiunque puo utilizzare


Lungo il cammino vedevamo spesso delle capanne di legno a forma di piramide, erano saune, chiunque poteva entrare e concedersi un po di relax ....in mezzo a tutto quel relax....

                                                        FINALMENTE SI PESCA


Un pomeriggio raggiungiamo un laghetto, uno dei tanti scovati in mezzo alla foresta, e decidiamo di concederci un altro cappotto con le nostre canne. Il tempo era meraviglioso, le zanzare erano impegnate altrove, e noi estremamente sereni.
Tiriamo fuori la canna da pesca con le ultime poche cose che ci erano rimaste, 1 cucchiaino, e due ami già montati su lenza.
Comincia Paolo e dopo un paio di lanci nota qualche cosa di strano nella sua canna. Ha abboccato, ha abboccato urla contento. Poco dopo un pesce di una ventina di centimetri giace sballottante sul nostro banchetto.
La gioia, l'incredulità, divennero una spinta per rilanciare l'esca nel lago quanto prima.
Provo io. Poche cannate dopo eccone un'altro.
Urla e sobbalzi da ragazzini per esprimere la nostra felicità e per immaginare una cena diversa dalle solite minestre liofilizzate.
Riproviamo, ma solo dopo pochi tentativi Paolo incaglia il cucchiaino e lo perdiamo.
Fine dei giochi.
Non essendo così bravo nel mollare, decido di costruirmi un cucchiaino artigianale con la lamiera del coperchio della scatola del tonno. La ritaglio con il mio coltellino multiuso comperato in Spagna, faccio un foro per collegare uno dei due ami rimasti ed un altro per unire la lenza alla canna.
Mi sentivo un po Sampei...
Butto la lenza in acqua, con il mio cucchiaino, per sbrogliare la lenza dalla penna della canna che si era incattivata durante l'ultimo lancio.
Nel muovere la canna, e conseguentemente la lenza, il cucchiaino attira l'attenzione di un pesce che decide di abboccare.
Tiro la lenza e lui è li appeso fuori dall'acqua con il destino segnato.
Il cucchiaino aveva funzionato benissimo, e fu una grande gioia.
I diversi tentativi seguenti non portarono a nulla di buono, così dopo un po ci arrendemmo soddisfatti.
 Prepariamo il fuoco e divoriamo le nostre prede come uomini primitivi.
 Io, il mio caro amico Paolo, il silenzio, la natura tutta intorno, il fuoco che scoppiettava,... ed uno strano senso di serenità.

Come dicevo, spesso durante il cammino immaginavamo una bella birra ghiacciata e un ricco banchetto di cose da mangiare. Eravamo stufi di scatolette e the. L'acqua del fiume che bevevamo era di uno strano color ruggine, ci avevano assicurato fosse buona, ma aveva il colore del the e un gusto ferruginoso.
Ci immaginavamo, da buoni golosi, un banchetto pieno di prelibateze e schifezze dove tuffarci come maiali.
Ci mancava un buon caffè a fine pasto e del cioccolato.




















Un giorno, in mezzo ad una zona stepposa e solitaria perdiamo la strada.
Il fiume, che da sempre ci lasciavamo a destra e sinistra, non c'è più.
Così tiriamo fuori il GPS per fare il" punto nave".
 Prendo le coordinate geografiche di latitudine e longitudine e riporto sulla mappa. In effetti eravamo fuori rotta, non di molto, ma in quel momento mi accorsi di quanto era importante la conoscenza della cartografia e dell'orientamento cartaceo. Ero fiero di me e delle mie conoscenze. Impostai una rotta per intersecare il nostro sentiero e presto ci ritrovammo sulla via giusta.
Perdersi in quelle foreste vuol dire rischiare grosso, potresti camminare per diversi giorni senza incontrare nulla. Anche lì, come in Alaska, vivono gli orsi e i lupi, ed eravamo sempre all'erta.
Avevamo cura del cibo, e sigillavamo tutto all'interno dei nostri zaini.
Spesso trovavamo dei ciuffi di pelo di lupi impigliati tra i rami, fortunatamente nessun incontro.

Un passo dopo l'altro, il sentiero si dissolve dietro di noi e giungiamo malinconicamente a Ruka.  Un autobus ci conduce ad una cittadina a circa 40 km, dove cerchiamo un alloggio per un paio di notti.
In albergo, davanti ad uno specchio, possiamo osservare il nostro imbruttimento di uomini di foresta.
Una doccia ed abiti più puliti ristabiliscono gli equilibri e ci riportano alla realtà.
Sono circa le 10 del mattino, con la fame che ci divora l'anima arriviamo nella sala del buffet dell'albergo.
Il sogno si sta avverando. Un enorme tavolo accoglie prelibatezze e bevande di ogni genere e gusto.
Non ricordiamo più i nostri, ma ingurgitiamo senza vergogna qualsiasi cosa commestibile.
Non badiamo neppure agli abbinamenti, beviamo latte e spremute contemporaneamente. Dolce e salato non fanno differenza. Il quantitativo giusto per la nostra dieta è tanto di tutto.
A pancia piena, seduti comodamente su quelle sedie vellutate, siamo sazi, ma malinconici.
Già troppa nostalgia, per il nostro vagabondare spensiarato, ci assale. Vorremmo essere ancora là, nella foresta, tra le zanzare che ormai erano divantate amiche, ma si deve pensare di tornare.










Trascorriamo ancora qualche giorno nella cittadina, affittiamo delle mountain-bike alla scoperta di angoli sperduti, ma i giorni corrono troppo in fretta e ci troviamo già su di un piccolo aereo che si solleva per riportarci a casa.

martedì 7 febbraio 2012

Sud America, Ande

L'anno 2009 fu un anno particolarmente tormentato. Un grande colpo di scure si stava abbattendo sulla mia vita e sentivo la necessità di andare a riflettere lontano. Non ci misi molto quella sera di Gennaio a decidere il luogo, il Perù. Da molto tempo fantasticavo di zampettare sugli altipiani andini, così pochi giorni dopo ero già in volo.
Preparai il mio solito zaino: abbigliamento tecnico, tenda, fornello, sacco a pelo estremo, insomma tutto l'occorrente per attraversare le Ande a piedi sino a Machu Picchu.
Molto genericamente il Sud America si prospettava, stando alle voci, come un luogo particolarmente pericoloso per la criminalità, quindi mi caricai  psicologicamente per affrontare quelle regioni con la massima cautela. Atterrai e Lima dove decisi di trascorrere un paio di giorni. Non avevo fatto un itinerario preciso, decisi di lasciare spazio agli eventi come si sarebbero verificati. La notte che arrivai a Lima fu turbolenta. Ero stanco dal viaggio, non conoscevo lo spagnolo, e tutto mi sembrava particolarmente ostile. Finalmente, dopo diversi tentativi, trovai una camera per dormire. Certo chiamarla camera era veramente difficile, ma il letto c'era. Il pavimento era in legno e pendeva paurosamente. La finestra verso la strada non si chiudeva per la sovrapposizione delle ante di parecchi centimetri. Neppure la porta d'ingresso si poteva chiudere, tanto che per la notte la bloccai con la cinghia della macchina fotografica. La cosa interessante era il prezzo della camera, l'equivalente di 5 euro per la notte (il prezzo più alto che trovai in tutto il viaggio).
La mattina dopo, con il sole, tutto appariva con una luce differante. I peruviani mi risultarono subito simpatici. Una bella colazione, una spremuta fresca e poi via alla scoperta di quella meravigliosa città. Mi andai ad infilare ovunque, scattai moltissime foto, visitai i mercati della frutta e della carne macellata al momento.
Le donne erano alle prese con i loro aghi per tessere oggetti in lana di alpacha ed altre delle loro pecore. Quel luogo mi rapì il cuore. Trascorsi due giorni nell'esplorazione della parte più antica e pericolosa di Lima, ma confesso di non aver avuto alcun problema.


















 Il lustrascarpe era di sicuro il lavoro più diffuso
 La carne veniva appesa, priva di qualsiasi protezione dal caldo e dalle mosche 
 Le motociclette erano modificate per poter essere usate come cassoni portatutto
 un carico di banane

 Le auto a norma non erano al primo posto nella scala delle priorità cittadine
 La via principale del centro

Una bancarella di verdura





A malincuore lasciai Lima per recarmi a Cuzco. Con un breve volo di un'ora, a bordo di un piccolo velivolo, tutt'altro che rassicurante, mi trovai catapultato a tremila metri di quota. Cuzco difatti è una cittadina tra le montagne, e per i turisti soffrire d'alta quota è un fenomeno ordinario. In un'ora passi da livello zero a tremila. La nausea e il senso di spossatezza mi colpirono all'istante.Andai con uno dei tanti taxi che transitano per le strade, alla ricerca di un posto per la notte. Trovai uno splendido albergo in stile coloniale alla modica cifra di 3 dollari a notte (con colazione). L'accoglienza fu strepitosa e vedendomi un po' pallido la proprietaria mi preparò un the. Il Coca the. Il Coca the è un the fatto mettendo in infusione le foglie di cocaina. In Perù si usa per lenire il mal di montagna, avendo la proprietà di alzare la pressione. Per stada, in drogheria, nei negozi di frutta, o dagli ambulanti, vendevano dei sacchetti di foglie al costo di un dollaro. Alcuni masticavano direttamente le foglie, per ringalluzzirsi, altri le facevano seccare e poi se le fumavano.
Con Cuzco instaurai subito un certo feeling. Mi innamorai dei suoi ritmi, della sua gente, della sua povertà e laboriosità. Tutti si inventavano un lavoro, la gente era povera ma dignitosa. Cominciai ad osservare le persone, i loro sguardi, il loro modo di muoversi, la loro cultura. Il cibo era ottimo e potevi pranzare o cenare con 1 dollaro. Spostarsi non era un problema, a piedi, con gli autobus, ma ancor meglio con i taxi. Ogni persona in possesso di una quasiasi carretta assomigliante ad un'auto e parzialmente funzionante, era un tassinaro. Ti portavano ovunque spendendo cifre ridicole. La storia millenaria che era ancora viva tra quelle case e le vie completavano il quadro che già tanto mi affascinava. Così una mattina, senza pensarci due volte, appena sveglio presi il mio zaino, tirai fuori due magliette, due mutande, due paia di calze, il coltellino serramanico, la torcia, il pile e poi richiusi lo zaino. Andai al primo ufficio postale, imballai lo zaino e lo spedii in Italia con tutto il resto. Acquistai uno zainetto fatto a mano in tessuto dalla tipica fantasia e continuai il mio viaggio. Mi sentivo libero, spensierato e leggero.Ogni volta che mi spostavo avevo sempre tutto con me, niente montagne né cammino degli Inca, volevo conoscere la gente e vivere in mezzo a loro.
Cominciò il mio peregrinare e vagabondare, presi un treno che, attraverso le Ande mi condusse sino a Aguacaliente, il crocevia del Machu Picchu. La visita al sito, uno sguardo a quelle verdeggianti montagne, incontri con le persone più diverse e tanta gioia dentro il mio cuore. Mi sentivo in pace come poche volte nella mia vita. Il viaggio continuava, nuovi incontri, nuove amicizie e solitudine voluta. Poi un grande balzo, presi un autobus, attraversai le montagne, passi oltre i 5000 metri di quota, villaggi di fango e paglia, persone al limite del primitivo, guglie di montagne innevate alte oltre 6000 metri.
Raggiunsi il lago Titicaca. Navigai nel suo ventre, la visita all'isola di Uros, le isole flottanti fatte di canne, poi due giorni trascorsi all'isola di Amantani. Proprio su quest'isola ho potuto scoprire il senso del dono.
....Da due giorni viaggiavo con due ragazzi, uno spagnolo, ed un'olandese. Insieme sbarcammo sull'isola e trovammo alloggio presso una famiglia di contadini che ci permisero di dormire nel fienile della loro stalla. Dalle assi del pavimento si vedevano le pecore sottostanti. La porta di ingresso era alta pressapoco un metro e mezzo. Il bagno era fuori, un buco scavato nel terreno con alcune assi che lo delimitavano. mangiavamo nella loro cucina, non c'era il pavimento, solo un battuto di terra pendente e pieno di buchi. Erano gente povera che non era mai uscita dall'isola. non c'era la corrente eletrica e neppure un telefono. Si cenava con le candele e ci si spostava, durante la notte sempre con quelle.
 Era come vivere in un'altra epoca. La sera che arrivai, tirai fuori la mia torcia elettrica. Venne visto dai proprietari di casa come un'oggetto alieno. L'anziano proprietario rimase poi affascinato dal mio coltello. Lo guardava mentre a tavola tagliavo il pane o altre cose. Era una persona squisita e discreta. Durante il giorno li aiutavamo nei campi o ad accudire il bestiame.
 I giorni volarono e presto ripartimmo. Il battello venne a prenderci come avevamo chiesto e fu puntuale.
 Salutammo la famiglia in un caloroso abbraccio, tutti tristi. Una volta sul battello, ancor prima che ci allontanassimo dal molo, ripensai al vecchio ed ai suoi occhi che guardavano il mio coltello. Tornai da lui, e serrato, glielo misi in mano. Non dissi nulla, ma lui si commosse stringendolo tra le mani, mi abbracciò fortemente. 
Il viaggio continuò, altri incontri e nuove esperienze avrebbero completato il mio vagabondare. Giunsi sino in Bolivia, La Paz divenne la mia casa per diversi giorni.


 Cuzco
 In treno verso Aguacaliente


 Aguacaliente


 Il Machu Picchu




Uno dei tanti mercati che si incontrano sugli altipiani andini





 tetti di Cuzco



 Isola di Uros

 Io ed i miei compagni di viaggio sull'isola di Uros
 La nostra camera dall'ingresso ...fuori misura
cucina dell'isola di Amantani




 isola di Amantani

Il viaggio in Sud America rimane il più interessante ed emozionante tra quelli che ho fatto sino ad oggi.