domenica 16 settembre 2012

ULTIMI LAVORI PRIMA DEL VARO

I lavori in barca invece di diminuire sembra debbano aumentare... Ma finalmente mi sembra di essere entrato nella fase finale, quella che mi porterà al varo.
Mi sento impegnato su molti fronti, ma l'entusiasmo cresce proporzionalmente con le fatiche e i pensieri da spendere per organizzare tutto.
Per raccontare meglio la mia storia ho deciso di creare un blog interamente dedicato a To the storm, se lo merita. E se lo meritano tutti coloro che hanno voglia di seguire il nostro percorso da qui al fatidico giorno del varo e poi della partenza per il giro del mondo a tappe.
Non ho comunque intenzione di abbandonare questo blog, solo mi riservo di non aggiornarlo costantemente per mancanza di tempo in questo periodo cruciale.

Continuiamo a sognare insieme...

http://tothestormboat.wordpress.com






martedì 4 settembre 2012

VERSO IL VARO

04/09/12

Le ferie sono finite ed i lavori hanno preso una drastica rallentata.
Come se non bastasse piove da alcuni giorni e sono costretto a rimandare i lavori all'esterno.
Quindi sono passato alla verniciatura interna, al completamento degli impianti. Idraulico ed elettrico.
Domani altra giornata ricca di appuntamenti extra-barca e non si fa nulla.
Oltre ai lavori in barca devo occuparmi del viaggio, pia

nificare le rotte, studiare i tempi e le condizioni meteo-marine nei periodi delle traversate. Questo è l'aspetto più delicato.
E proprio come mi fa notare la mia amica Alessandra Biagini, riferendosi alla grande donna al fianco di Alex Bellini, credo di poter vantare la stessa fortuna, infatti Daniela, la mia compagna, mi aiuta tenacemente nell'intricato e meraviglioso mondo della pianificazione.
Per non impazzire ho deciso di adottare la stessa tecnica che ho adoperato per la costruzione della barca. Vivere serenamente passo dopo passo tutta l'evoluzione delle tappe cercando di gustarmi ogni momento. Ora voglio concentrarmi sul varo e sui collaudi in mare, cominciando a navigare nel Mediterraneo.
Finito il collaudo, preparerò la barca per la traversata Atlantica sino ai Caraibi...
Qui si concluderà la prima parte del mio giro, per rigettarmi nella vita quotidiana con la mia famiglia e per occuparmi della stesura del libro che racconterà la nascita di To the storm e le sue avventure per mare.
La tappa seguente, dopo la permanenza a casa, sarà Caraibi - Galapagos - Polinesia Francese.


03/09/12
Sono in molti a chiedeno quanto costi costruirsi una barca. é difficile fare un calcolo preciso e tutto dipende da quanti soldi si hanno a disposizione. Un pò come scegliere un telefonino, i prezzi variano da 19,00 euro a molte centinaia. Io ne ho uno da 19, e funziona meraviglia. In barca ho adottato lo stesso principio, solidità ed economia. L'impatto economico dipende anche dalla durata del pro
getto, più si fa in fretta più le spese sembrano gravose. io ho diluito la spesa in 7 anni e non mi sono neppure accorto, ed ho un normalissimo stipendio da autoferrotranviere. Il vantaggio del mio lavoro consiste nell'avere mezza giornata a disposizione da investire autonomamente. Anche la scelta di non farsi aiutare, oltre alla soddisfazione personale, è anche un modo per non investire in manod'opera altrui. Molte cose, comperate nei posti giusti, possono risultare estremamente più economiche. Per esempio viti, bulloni, dadi, in acciaio comperati dal ferramenta costano molto meno che nei negozi di nautica.
Certo bisogna saper fare delle rinunce e non tutti sono disposti a cedere. Niente cene al ristorante, auto nuove, cellulari ultimo tipo, sky, stadio, concerti, aperitivi....per molti questa potrebbe essere una condanna, per me una ventata di libertà.

sabato 26 maggio 2012

Mongolia anno (2010)

                                                                MONGOLIA



Reduce da una combattuta separazione, ancora una volta le mie molecole mi dicevano di andare.
Con pochi soldi a disposizione misi in vendita la mia jeep.
Non so perchè, ma decisi di andare a fare un giretto con la mia Honda Transalp destinazione Mongolia.
Ero esaltatissimo di percorrere circa 27000 km, tra andata e ritorno, in un territorio a me sconosciuto.
Conoscevo poco dell'Est, quindi, con l'aiuto della mia nuova fidanzata Daniela, cominciai a documentarmi sulla Mongolia e tutte quelle zone che avrei dovuto attraversare.
La mia idea era di partire dall'Italia, attraversare l'Est sino in Kazakistan, risalire in Russia e scendere attraversando la Mongolia sino ad Ulaanbaatar.
Per compiere la mia impresa la mia aziena mi concesse 2 mesi di permesso non retribuito. Luglio e agosto.
Da subito le difficoltà di un viaggio di questa portata si fecero sentire.
Mano mano che prendevo coscenza dei luoghi delle strade e delle difficoltà politiche che avrei incontrato, mi rendevo sempre più conto che il tempo a disposizione era poco.
Cominciai a documentarmi in maniera sempre più capillare sulla condizione delle strade in quelle regioni remote e dalle cartine e dai resoconti che analizzavo non emergeva  neppure una notizia rincuorante.
Alcune strade segnate sulle carte spesso non esistevano più e avrei dovuto fare centinaia di km di deviazioni per ritrovare la rotta... con una notevole perdita di tempo.
La corruzione che dilaga in quelle regioni è snervante e avvilente, oltre che estremamente dispendiosa.
Stando alle statistiche e alle testimonianze calcolai un costo tra i 4000 e i 6000 euro di mazzette.
Alcuni viaggiatori raccontavano di giornate perse alle frontiere aspettando timbri sui passaporti che non arrivavano mai.
La criminalità sempre più diffusa... Tutto questo mi fece perdere l'entusiasmo.
Se c'è una cosa che non sopporto e non tollero è l'uomo che danneggia un'altro uomo. Trovarmi a tu per tu con un gendarme che ti chiede denaro per restituirti il passaporto, o che si inventa infrazioni per spillarti soldi, lo trovo aberrante.
Non ho mai avuto difficoltà nell'affrontare insidie come freddo, pareti strapiombanti, ghiacciai, orsi, fiumi, ma quella era la natura e il suo carattere. Se affronti la natura sei consapevole di essere tu l'ospite e devi avere rispetto per il padrone di casa.
Quando mi trovavo in Alaska, in Canada o in Finlandia, sapevo che avrei potuto imbattermi con dei lupi oppure orsi, ma sapevo che questi avevano un proprio codice di vita, potevi fronteggiarli perchè conoscevi il loro modo di reagire.
L'uomo no. Ti inganna, ti raggira, ti deruba.
Non sarei partito per quel viaggio, non era l'avventura che cercavo. non era la sfida che volevo.
Io amo la natura e il suo carattere. Mi piace sapere che cosa sto affrontando, non potrei mai raggiungere qualcosa per fortuna, voglio sapere che sono stato io l'artefice del mio successo.

Quella presa di coscenza mi mortificò moltissimo. Ero deluso di ciò che avevo scoperto, di quello che avevo capito e partire sarebbe stato inutile. Ci sono momenti che devi saper mollare, proprio come un marinaio che non molla gli ormeggi quando le condizioni non lo convincono.
Mi piaceva l'idea di arrivare in Mongolia e ormai avevo ottenuto anche il visto.
Così rielaborai un secondo viaggio, andare da Ulaanbaatar sino a Pechino con la bicicletta attraverso il deserto del Gobi.
Erano circa 1500 km, e stimai una quindicina di giorni di pedalate.
Questo sembrava essere un viaggio adatto a me. Natura, rischio e solitudine.
Il tempo per i preparativi era poco, mancava un mese a luglio e dovevo preparare tutto il necessario.
Mi misi alla ricerca di un volo economico per arrivare sino alla capitale mongola e riuscii a trovarne uno a soli 1200 euro con partenza da Francoforte. Perfetto.
Certo Francoforte era a 1350 km da casa mia, ma anche quello era viaggiare.
 Analizzai la strada e le cartine del deserto del Gobi e mi resi subito conto che c'era veramente poco.
Si capiva comunque che non sarebbe stato un viaggio facile.
Nel poco tempo libero mi allenavo con la mia bicicletta per testare la mia resistenza. Non ero certo un ciclista, ma non era neppure mia intenzione esserlo.
 La cosa difficoltosa era il trasporto delle provviste e dell'acqua.
Dovevo portarmi dietro un notevole quantitativo d'acqua altrimenti il deserto mi avrebbe prosciugato in un baleno.
Immaginandomi il percorso e l'ostilità del luogo che avrei attraversato pensai che la cosa migliore fosse quella di trainare tutto il materiale e le provviste su un carretto.
Naturalmente lo progettai e costruii nella mia officina. In un paio di giorni di lavoro in carretto fu pronto.
Era robusto, un po' troppo pesante, ma funzionava alla perfezione.










Avevo studiato tutto nei minimi dettagli. poteve funzionare da seggiola, da tavolino, era stagno, capiente per tutto il mio occorrente e una bella provvista di acqua.
Un altro problema era l'energia elettrica, necesssaria per il GPS, le torce, il telefono e la macchina fotografica. Dato che mi sarei andato ad infilare in un deserto con il sole sempre all'erta, l'idea di un pannello solare non era poi così da primo della classe!
Acquistai un pannello solare flessibile, circa mezzo metro quadro, che avrei posizionato sulla sommita del carretto ed un'altro, di dimensioni ridotte, che istallai sul manubrio della mountainbike per alimentare il gps.
Sul manubrio istallai una torcia alogena molto potente.
Mi procurai qualche cavetto, freni di ricambio, una falsamaglia per la catena, degli attrezzi e camere d'aria di riserva.
La bicicletta era un vero cimelio, quello che i ciclisti chiamano "cancello". Una caratteristica positiva era che era in ferro, e questo la rendeva robusta e facilmente riparabile.
Se si fosse guastata chiunque con una semplice saldatrice l'avrebbe risistemata.

Un giorno Daniela mi dice di aver guardato sul sito della Lufhtansa che per ogni kg di peso in più sull'aereo avrei dovuto pagare un suplemento di 4 euro al kg.

Cominciai a pesare tutto ed eccedevo di circa 30 kg rispetto al normale. A conti fatti circa 120 euro in più.
Quello che mi faceva pensare era tirarmi dietro tutto quel materiale nella misura di: uno zaino, un enorme pacco con il carretto e l'attrezzatura della bici, la bicicletta smontata.
Daniela cominciò a fare una ricerca su internet per verificare se ad Ulaanbaatar esistessero negozi per acquistare una bicicletta. La ricerca portò i suoi frutti: c'era un negozio adibito alla vendita e al noleggio. I prezzi erano più che ottimi e le bici sembravano anche meglio della mia...
"Ok, la bici la lascio a casa così viaggio più leggero".

Imballai tutto il materiale su un pallet: dentro avevo tutto il necassario per affrontare la mia avventura.
Più mi calavo nei preparativi e più il mio cuore pulsava dalla gioia.
Tutto era pronto, viveri, attrezzatura, entusiasmo ed una la nuova avventura.
Il 6 di luglio eccomi seduto sulla mia vw passat con destinazione Francoforte.
Partii nel primo pomeriggio, prima tappa Bolzano  per dare un'occhiata alle ultime novità nel fornitissimo negozio Sportler.
Arrivai a Francoforte alle 11 del giorno seguente, carico come una balestra ed ottimista.
In aereoporto però cominciarono i primi problemi.
Imbarcando lo zaino e il bancale con l'attrezzatura, mi spararono un conto di 455 euro per il peso in eccesso.
Prossimo allo svenimento, mi rifiutai di pagare perchè mi sembrava eccessivo.
Il peso in eccesso era 7 kg, e loro lo calcolavano a 65 euro al kg... una follia.
Spiegai che il contenuto all'interno non valeva neppure la metà di quel valore di 1 kg.
Bloccai l'imbarco, ma l'operatore aveva già avviato nella complicatissima rete di smistamento bagagli i miei beni.
O pagavo o annullavo. Annullando avrei imbarcato solo il bancale e avrei portato, come bagaglio a mano lo zaino. Il costo sarebbe stato 0. Annullai.
Il tempo stringeva, ma mi dissero di andare verso lo sbarco bagagli, ritirare il tutto e rifare l'imbarco.
Ma dopo una snervante attesa arrivò solamente il bancale, lo zaino era già sull'aereo.
Il tempo per un nuovo imbarco non era sufficiente. Fanculo, mi ricomprerò tutto nella capitale.
Stivarono il bancale in un deposito e mi precipitai sull'aereo pochi secondi prima che il comandante desse l'ordine di chiudere le porte.
Dopo pochi minuti di sconforto, mi riorganizzai la mente per far fronte a questo inconveniente.
Il volo era lungo e avevo molto tempo per pensare.

Il volo fu lunghissimo, dopo un primo scalo a Pechino, feci un'ultimo balzo ad Ulaanbaatar.
Proprio con l'ultimo volo ebbi la possibilità di guardare dall'alto lo sconfinato deserto del gobi.
L'adrenalina tornava a fare capolino ed il mio cuore era irrorato da una nuova fonte di energia.






Lo sbarco fu un po' triste, mi presi il mio zaino e mi incamminai verso l'uscita.
Dall'alto la capitale mongola faceva un po' tristezza, si erigeva immersa in una sperdutissima pianura mista tra il verdeggiante e la polvere del deserto.
Data l'immobilità a cui ero stato sottoposto nelle ultime 48 ore, tra l'auto e l'aereo, decisi di incamminarmi verso il centro.
La periferia era estremamente malconcia. Le persone vivevano in case di lamiera, fango, o nelle gher (le tende tipiche).
Gli animali, a migliaia, si muovevano come le persone nei mercati affollati.
Una polvere finissima si sollevava a mo' di raffiche nell'aria, oscurando la visuale.
La cosa che mi colpì, e che mi accompagnò per l'intero soggiorno, fu l'odore costante degli animali morti lungo le strade.
Questo quadro, insieme agli sguardi minacciosi degli abitanti sempre all'erta nel volermi derubare di quel poco che mi era rimasto, furono il saluto di benvenuto in quella terra così lontana.






La mia passeggiata esplorativa durò 15 km, quando ad un certo punto un'auto mi caricò per condurmi nel centro.
Era l'auto di una scuola guida mongola e al volante c'era una ragazza probabilmente alla prima lezione, perché non le riusciva proprio di a fare andare la macchina diritta.
L'auto era un cimelio dagli ammortizzatori ormai oltre ogni usura. Le strade erano sterrate, piene di buchi e tombini aperti. Il traffico e l'indisciplina alle stelle.
Scambiai le mie prime parole con quegli strani abitanti e non furono affatto rincuoranti.
Mi dissero che era stato un miracolo che nessuno mi avesse derubato in quel tratto di strada.
Stando alle prime dichiarazioni la criminalità nella città e fuori era arrivata a valori mai visti.
Mi portarono in centro, mi trovai un albergo per dormire e mi sistemai.
Nel silenzio e nella solitudine della mia camera fui colto da uno strano sconforto, forse dato dal fuso, dalla polvere che avevo ovunque, dalla guida stravagante della futura patentata, dagli ammortizzatori defunti da anni, dall'odore di carogna nell'aria, dal bagaglio rimasto a Francoforte, dalla decadenza della città o da tutte le cose insieme. Insomma non vedevo nulla di positivo nell'essere li.

Dopo una bella dormita, a stomaco pieno cominciai a riorganizzare la mia avventura.
Cominciavo ad ambientarmi tra quella gente e mi sembravano meno ostili, sebbene non ridessero mai e mi guardassero in cagnesco.
Non avevo moneta, cosi mi affrettai per andare all'ufficio postale per cambiare dei dollari.
Erano circa le 10 del mattino, ed ero nel centro della capitale. Uscendo dall'ufficio postale, mentre mi posizionavo lo spallaccio dello zainetto, un ragazzo in corsa me la  afferra correndo. Reagendo immediatamente e bloccando con forza l'altro capo dello zaino ci troviamo faccia a faccia.
Tiro lo zaino verso di me con lui che lo segue, la mia espressione era decisamente incazzata e mi preparo per tirargli un bel cazzotto. Fortunatamente lui molla la presa e si dilegua a tutta velocità.
Comincio ad odiare quel posto.
Se non fossi stato svelto nel trattenere lo zaino avrei perso tutto. Documenti, visti, soldi, passaporto... errore imperdonabile.
Tornai in albergo e riposi nella cassaforte la metà dei soldi e dei documenti.

Cominciò una snervante ricerca della bicicletta e di un'officina per costruire un nuovo carretto.
Nulla, di biciclette neanche l'ombra.
Passai a setaccio ogni angolo della città, ma le biciclette in Mongolia non erano contemplate.
Essendo la bici uno strumento molto popolare in Cina e per i cinesi, loro per non uguagliarsi a i loro nemici non le usavano. Pazzesco.
 Il giorno seguente, mentre percorrevo una via poco distante dal centro, ad un certo punto mi imbatto in uno strano tipo che sembra avercela a morte con me.
Comincia a farfugliare e a imprecare parole a me incomprensibili, con rabbia e decisione.
Non capivo nulla ed ero ignaro di quale problema potesse avere con me, dato che percorrevamo strade opposte e non ci conoscevamo affatto.
Dopo un po che inveisce mi attacca alla gola lanciandosi verso di me.
Io lo schivo, lasciando che mi superi e lui, perdendo la presa e l'equilibrio, batte la testa contro il mento di una persona che era dietro di me.
Lo sfortunato barcolla per la capocciata, ma l'amico che era con lui tira un potente cazzotto in faccia all'aggressore.
Questo finisce a terra, i due lo raccolgono e lo scaraventano dentro ad un'aiuola.
Una scena veramente impressionante. da sequenza cinematografica.
Mentre l'aggressore si dimena ferito e frastornato tra i fiori ed i rami, noi ci allontaniamo.
Ripenso alla scena, un po' rido ed un po' mi avvilisco pensando a dove mi trovo e da chi mi sento circondato.
Sono lì da due giorni e ho già subito due aggressioni. Il mio amico della scuola guida non aveva poi così torto nel mettermi in guardia sulla violenza che c'è da quelle parti.


Sempre più sconfortato, continuo la ricerca di possibili mezzi per attraversare il deserto, ma non trovo nulla.
Passano i giorni, fortunatamente senza più aggressioni o scippi, ma mi rendo sempre più consapevole che il Gobi non riuscirò ad attraversarlo.
Decido di attraversare il deserto con una moto presa a nolo, ma non noleggiano moto senza fare un tour organizzato.
Provo con l'auto, ma è la stessa cosa, solo auto con conducente.
Ogni direzione è occlusa.
Sono ormai 10 giorni che mi dimeno nella città in cerca di sbocchi.
Prendo degli autobus per uscire dalla città e portarmi in altri paesini, ma non c'è assolutamente nulla. Solo distese d'erba, animali  al pascolo, collinette, che si perdono all'infinito.. .e una puzza tremenda.

Prendo degli autobus che ad un certo punto si fermano per mancanza di strade, ponti crollati e mai più ricostruiti. Non riesco a muovermi e mi sento in prigione.
Mi consigliano il cavallo, da quelle parti pare essere l'unico mezzo veramente affidabile, ma non prendo in seria considerazione il consiglio.
Durante uno dei miei spostamenti con gli autobus, conosco un ragazzo mongolo.
Conosce un po l'inglese e questo mi aiuta, dato che per giorni non ero riuscito a comunicare con nessuno se non con grande fatica.
Lui lavora nel deserto del Gobi come scavatorista presso una miniera e ogni 10 giorni torna a casa dalla moglie e dalla figlioletta.
L'intesa che nasce è di grande aiuto, così si propone di portarmi un po' a zonzo con la sua scassatissima auto.
Giunti a casa sua, in un quartiere di una povertà e squallore indescrivibili, afferriamo auto, bimba, moglie e via, alla scoperta della Mongolia.
Il giorno scorre sereno e veloce tra feste di paese, siti monumentali, fiumi, grotte, e assaggi di ogni cosa commestibile sul pianeta.
Tra le varie schifezze mi costringe a bere il latte di cavallo, simbolo di forza ed energia. La cosa più schifosa mai assaggiata prima.
L'ora tarda e l'ultimo autobus che mi riporta alla capitale, danno fine a quel piacevole incontro.
Addio è la parola che suona nel nostro cuore, anche se la bocca pronuncia un giorno ci rincontreremo.

Percorro nottetempo i 100 km di buche che mi separano dall'albergo.
Dato quello che succede durante il giorno, viaggiare la notte mi preoccupa, ma è inevitabile.
Senza intoppi a mezzanotte infilo la chiave nella toppa della stanza.

Mi muovo con l'autobus intanto che cerco uno scopo per quel viaggio partito male e svolto anche peggio.
Affitto un'auto con conducente per muovermi con più indipendenza, ma maciniamo km di buche e terra in un paesaggio sempre uguale.

Intanto Daniela, sotto mie indicazioni, da casa sta cercando di anticipare il mio volo di rientro.
Una faticaccia, ma è l'unico successo. Un volo mi conduce a Pechino.
In attea del volo per Francoforte, dato il lunghissimo scalo, decido di fare visita alla città.
L'aereoporto è un vero labirinto. Sembra una città del futuro degna dei migliori film di fantascenza.
Trovo un'autobus che mi conduce sino al centro.
La città è un'andirivieni di mezzi di ogni tipo.
Motorini allestiti per ogni uso, con impalcature, bauletti, appendini, insomma adibiti al trasporto dell'impossibile.
Le biciclette, accidenti a loro, scorazzano a centinaia.
Il traffico è contorto ma scorrevole.
Io per muovermi scelgo le mie gambe.
Piazza Tienanmen è popolata di turisti dai frenetici scatti. Mi introduco nella parte vecchia della città. Le case sono disastrate, le vie stracolme di negozi colorati e le persone sono laboriose e sorridenti. Si respira un clima sereno e mi sento bene.
Familiarizzo con due giovani cinesi, che mi fanno da guide tra le vie intricate di quel mondo strano.
Osservo le persone ed il loro muoversi frenetico.




 
  

domenica 26 febbraio 2012

karhunkierros, il sentiero dell'orso

Era il Maggio 2007, ancora una volta il cuore mi diceva di partire e le gambe erano d'accordo.
Invitai a cena il mio caro amico Paolo e gli proposi un'avventuretta a piedi da qualche parte.
Insieme di notti in tenda, sotto temporali e nevicate, ne avevamo passate a decine e la mia richiesta fu accolta, come sempre, con entusiasmo. Quando gli proponevo di andare da qualche parte in un modo o nell'altro si partiva sempre.
 Con Paolo a casa mia.... l'itinerario era segnato


 
Non sapevo bene dove andare, ma ero spinto con il pensiero verso la Scandinavia. La Norvegia era stata la mia casa per tanti giorni, e non mi sarebbe dispiaciuto ritornare.
Cercavo un percorso a piedi di un centinaio di km, o un coast to coast in qualche isola. Così, nelle nostre ricerche saltò fuori il Karhunkierros, un sentiero di 84 km in Finlandia. Avevamo circa una decina di giorni a nostra disposizione e quel tracciato, non certo difficile, sembrava esere perfetto. Così, biglietti alla mano e zaino in spalla, partimmo poco tempo dopo.
Il volo, affinchè fosse economico, fece molti scali e durò un'infinità. Con Paolo però era sempre una festa, ci divertivamo come ragazzini per ogni cosa. Conosciuti durante il servizio civile in Croce Rossa, da allora non c'eravamo più persi di vista." Due culi in un paio di braghe".
Il primo giorno lo passammo ad Helsinki, vagabondando per la città a sorseggiare birre e gustarci dei piatti prelibati. Sapevamo che da li a poco i nostri pranzi e cene avrebbero avuto un drastico tracollo, quindi non esitammo nel dimenticare le regole della dieta mediterranea e ci metemmo all'ingrasso.

Helsinki





I nostri zaini erano severamente pesanti, gli spallacci ci solcavano la pelle, eppure avevamo lo stretto necessario. Il cibo era la parte più pesante: cioccolato, pane, pasta, tonno, cibi liofilizzati , biscotti per la colazione, zucchero e barrette energetiche. Il tutto per 6 giorni.
 Il cammino si districava tutto lungo il fiume Kitkajoki, quindi non investimmo troppi pensieri nell'ipotesi di restare senz'acqua. Il sentiero, tra paludi, boschi di pini e zanzare, non era per nulla impegnativo, 84 km in "bolla". Il paesaggio, sebbene un po monotono, era piacevole. Il vero dilemma erano le zanzare, milioni di zanzare ci martoriavano tutto il giorno, una vera seccatura alla quale non ci abituammo per tutto il viaggio.
Ci trasferimmo sino a Kuusamo, prima con un breve balzo in aereo, poi con un taxi collettivo.








Proprio all'attacco del sentiero, un ufficio informazioni ci dispensò gli ultimi ragguagli e una buona cartina graduata che avremmo utilizzato con il gps. Il sentiero era comunque segnalatissimo e perdersi assolutamente impossibile.
Zaino in spalla partimmo nel tardo pomeriggio.  La luce costante delle latitudini nordiche non era una vera manna: il sole non tramontava mai, durante la notte la luce si affievoliva un po', ma potevi camminare senza accorgerti che poteva essere mezzanotte.
Ci accampammo vicino al fiume, dormendo all'interno di una capanna di tavole costruita dai pescatori. Provammo a pescare, ma senza prendere nulla. Cucinammo la nostra zuppa liofilizzata e poi a nanna.
Il sentiero era veramente ben organizzato, là dove sorgevano le capanne di legno, al fianco c'era sempre una catasta di legna da ardere con tanto di accetta e segaccio per tagliare i tronchi.
Di fronte alla casetta c'era un focolare dove poter cucinare il pesce alla griglia, o appendere le pentole a bollire (naturalmente nessuno si sarebbe mai sognato di portarsi via gli attrezzi).







Così andavano le nostre giornate, ore di cammino, e soste per cucinare i nostri graditissimi pranzetti.
La sera, stanchi, ci mancava speluccare qualche prelibatezza o sorseggiare una birra ghiacciata, ma poi crollavamo nei nostri sacchi a pelo.
A volte le zanzare ci tormentavano all'esasperazione, avevamo dei prodotti repellenti, ma sembravano ignorarli. Più tardi scoprimmo che se avessimo anticipato il cammino di una settimana di zanzare non ne avremmo incontrate neppure una.

A volte le capannette erano veri e propri rifugi. Potevi entrare, dormire nei tavolacci di legno, usufruire della legna, dei fornelli, a patto che avessi grande cura di tutto e che si lasciasse in ordine.

Un giorno, giunti ad uno di questi rifugi, dalla sponda opposta del fiume c'era un isolotto dove spiccava una di questa casette. La corrente era forte, il fondale troppo profondo, così decisi di costruire una zattera per attraversare il fiume.
Avevamo legna in abbondanza, un segaccio messo a disposizione e un cordino che mi ero portato da casa per le evenienze.
 Paolo, come al solito, mi aiutò nell'impresa, e costruimmo la zattera. Purtroppo, mentre tagliavamo i due tronchi principali, quelli che avrebbero dato una spinta maggiore al galleggiamento, la lama si ruppe. Purtroppo la zattera risultò inefficace a guadare il fiume.
La varammo, tentando il possibile, ma non sorreggeva il nostro peso.
In compenso, alcuni ragazzini venuti in campeggio, gradirono l'oggetto e si divertirono loro al posto nostro.
La cosa interessante fu che il nostro lavoretto aveva attirato l'attenzione di alcune ragazze, così quella sera la compagnia non ci mancò, neppure una bella ciucca, la prima della mia vita dato che le donzelle tirarono fuori dallo zaino ogni tipo di vodka.










La mattina successiva eravamo ancora frastornati dai vapori di tutta quella vodka,  ci ricaricammo gli zaini in spalla e proseguimmo. Il fiume era sempre al nostro fianco, le zanzare sempre più fedeli ai nostri colli, il tempo invece stava cambiando.
Una breve ed innocua precipitazione ci fece compagnia qualche ora, poi spuntò nuovamente  il sole e le zanzare sembravano ancora più felici.
Spesso tiravamo fuori le canne da pesca, ma erano solamente cappotti... e pensare che quando ero in Alaska c'erano talmente tanti salmoni che non si vedeva neppure il fondo dei fiumi. E non avevo la canna da pesca!
Durante il cammino spesso non parlavamo, eravamo assorti dai nostri pensieri e problemi che ci portavamo dietro dall'Italia. Non intavolavamo mai discussioni relativamente alle nostre vite private, forse avrebbe voluto dire immergersi in una realtà sofferente. Eravamo gelosi di quel nostro piccolo mondo e quando riuscivamo a staccare completamente la spina, sfioravamo la felicità. Camminavamo a passo lento, i nostri zaini erano circa 25 kg, le spalle e la schiena dovevamo preservarle per tutta la durata del cammino.
Il buio era una realtà dimenticata, la troppa luce e le giornate no-stop erano stancanti, non era mai ora di porre fine alla giornata. Dormivamo con la luce e camminavamo anche nel cuore della notte.

lungo il tracciato si trovano questa saune che chiunque puo utilizzare


Lungo il cammino vedevamo spesso delle capanne di legno a forma di piramide, erano saune, chiunque poteva entrare e concedersi un po di relax ....in mezzo a tutto quel relax....

                                                        FINALMENTE SI PESCA


Un pomeriggio raggiungiamo un laghetto, uno dei tanti scovati in mezzo alla foresta, e decidiamo di concederci un altro cappotto con le nostre canne. Il tempo era meraviglioso, le zanzare erano impegnate altrove, e noi estremamente sereni.
Tiriamo fuori la canna da pesca con le ultime poche cose che ci erano rimaste, 1 cucchiaino, e due ami già montati su lenza.
Comincia Paolo e dopo un paio di lanci nota qualche cosa di strano nella sua canna. Ha abboccato, ha abboccato urla contento. Poco dopo un pesce di una ventina di centimetri giace sballottante sul nostro banchetto.
La gioia, l'incredulità, divennero una spinta per rilanciare l'esca nel lago quanto prima.
Provo io. Poche cannate dopo eccone un'altro.
Urla e sobbalzi da ragazzini per esprimere la nostra felicità e per immaginare una cena diversa dalle solite minestre liofilizzate.
Riproviamo, ma solo dopo pochi tentativi Paolo incaglia il cucchiaino e lo perdiamo.
Fine dei giochi.
Non essendo così bravo nel mollare, decido di costruirmi un cucchiaino artigianale con la lamiera del coperchio della scatola del tonno. La ritaglio con il mio coltellino multiuso comperato in Spagna, faccio un foro per collegare uno dei due ami rimasti ed un altro per unire la lenza alla canna.
Mi sentivo un po Sampei...
Butto la lenza in acqua, con il mio cucchiaino, per sbrogliare la lenza dalla penna della canna che si era incattivata durante l'ultimo lancio.
Nel muovere la canna, e conseguentemente la lenza, il cucchiaino attira l'attenzione di un pesce che decide di abboccare.
Tiro la lenza e lui è li appeso fuori dall'acqua con il destino segnato.
Il cucchiaino aveva funzionato benissimo, e fu una grande gioia.
I diversi tentativi seguenti non portarono a nulla di buono, così dopo un po ci arrendemmo soddisfatti.
 Prepariamo il fuoco e divoriamo le nostre prede come uomini primitivi.
 Io, il mio caro amico Paolo, il silenzio, la natura tutta intorno, il fuoco che scoppiettava,... ed uno strano senso di serenità.

Come dicevo, spesso durante il cammino immaginavamo una bella birra ghiacciata e un ricco banchetto di cose da mangiare. Eravamo stufi di scatolette e the. L'acqua del fiume che bevevamo era di uno strano color ruggine, ci avevano assicurato fosse buona, ma aveva il colore del the e un gusto ferruginoso.
Ci immaginavamo, da buoni golosi, un banchetto pieno di prelibateze e schifezze dove tuffarci come maiali.
Ci mancava un buon caffè a fine pasto e del cioccolato.




















Un giorno, in mezzo ad una zona stepposa e solitaria perdiamo la strada.
Il fiume, che da sempre ci lasciavamo a destra e sinistra, non c'è più.
Così tiriamo fuori il GPS per fare il" punto nave".
 Prendo le coordinate geografiche di latitudine e longitudine e riporto sulla mappa. In effetti eravamo fuori rotta, non di molto, ma in quel momento mi accorsi di quanto era importante la conoscenza della cartografia e dell'orientamento cartaceo. Ero fiero di me e delle mie conoscenze. Impostai una rotta per intersecare il nostro sentiero e presto ci ritrovammo sulla via giusta.
Perdersi in quelle foreste vuol dire rischiare grosso, potresti camminare per diversi giorni senza incontrare nulla. Anche lì, come in Alaska, vivono gli orsi e i lupi, ed eravamo sempre all'erta.
Avevamo cura del cibo, e sigillavamo tutto all'interno dei nostri zaini.
Spesso trovavamo dei ciuffi di pelo di lupi impigliati tra i rami, fortunatamente nessun incontro.

Un passo dopo l'altro, il sentiero si dissolve dietro di noi e giungiamo malinconicamente a Ruka.  Un autobus ci conduce ad una cittadina a circa 40 km, dove cerchiamo un alloggio per un paio di notti.
In albergo, davanti ad uno specchio, possiamo osservare il nostro imbruttimento di uomini di foresta.
Una doccia ed abiti più puliti ristabiliscono gli equilibri e ci riportano alla realtà.
Sono circa le 10 del mattino, con la fame che ci divora l'anima arriviamo nella sala del buffet dell'albergo.
Il sogno si sta avverando. Un enorme tavolo accoglie prelibatezze e bevande di ogni genere e gusto.
Non ricordiamo più i nostri, ma ingurgitiamo senza vergogna qualsiasi cosa commestibile.
Non badiamo neppure agli abbinamenti, beviamo latte e spremute contemporaneamente. Dolce e salato non fanno differenza. Il quantitativo giusto per la nostra dieta è tanto di tutto.
A pancia piena, seduti comodamente su quelle sedie vellutate, siamo sazi, ma malinconici.
Già troppa nostalgia, per il nostro vagabondare spensiarato, ci assale. Vorremmo essere ancora là, nella foresta, tra le zanzare che ormai erano divantate amiche, ma si deve pensare di tornare.










Trascorriamo ancora qualche giorno nella cittadina, affittiamo delle mountain-bike alla scoperta di angoli sperduti, ma i giorni corrono troppo in fretta e ci troviamo già su di un piccolo aereo che si solleva per riportarci a casa.