sabato 26 maggio 2012

Mongolia anno (2010)

                                                                MONGOLIA



Reduce da una combattuta separazione, ancora una volta le mie molecole mi dicevano di andare.
Con pochi soldi a disposizione misi in vendita la mia jeep.
Non so perchè, ma decisi di andare a fare un giretto con la mia Honda Transalp destinazione Mongolia.
Ero esaltatissimo di percorrere circa 27000 km, tra andata e ritorno, in un territorio a me sconosciuto.
Conoscevo poco dell'Est, quindi, con l'aiuto della mia nuova fidanzata Daniela, cominciai a documentarmi sulla Mongolia e tutte quelle zone che avrei dovuto attraversare.
La mia idea era di partire dall'Italia, attraversare l'Est sino in Kazakistan, risalire in Russia e scendere attraversando la Mongolia sino ad Ulaanbaatar.
Per compiere la mia impresa la mia aziena mi concesse 2 mesi di permesso non retribuito. Luglio e agosto.
Da subito le difficoltà di un viaggio di questa portata si fecero sentire.
Mano mano che prendevo coscenza dei luoghi delle strade e delle difficoltà politiche che avrei incontrato, mi rendevo sempre più conto che il tempo a disposizione era poco.
Cominciai a documentarmi in maniera sempre più capillare sulla condizione delle strade in quelle regioni remote e dalle cartine e dai resoconti che analizzavo non emergeva  neppure una notizia rincuorante.
Alcune strade segnate sulle carte spesso non esistevano più e avrei dovuto fare centinaia di km di deviazioni per ritrovare la rotta... con una notevole perdita di tempo.
La corruzione che dilaga in quelle regioni è snervante e avvilente, oltre che estremamente dispendiosa.
Stando alle statistiche e alle testimonianze calcolai un costo tra i 4000 e i 6000 euro di mazzette.
Alcuni viaggiatori raccontavano di giornate perse alle frontiere aspettando timbri sui passaporti che non arrivavano mai.
La criminalità sempre più diffusa... Tutto questo mi fece perdere l'entusiasmo.
Se c'è una cosa che non sopporto e non tollero è l'uomo che danneggia un'altro uomo. Trovarmi a tu per tu con un gendarme che ti chiede denaro per restituirti il passaporto, o che si inventa infrazioni per spillarti soldi, lo trovo aberrante.
Non ho mai avuto difficoltà nell'affrontare insidie come freddo, pareti strapiombanti, ghiacciai, orsi, fiumi, ma quella era la natura e il suo carattere. Se affronti la natura sei consapevole di essere tu l'ospite e devi avere rispetto per il padrone di casa.
Quando mi trovavo in Alaska, in Canada o in Finlandia, sapevo che avrei potuto imbattermi con dei lupi oppure orsi, ma sapevo che questi avevano un proprio codice di vita, potevi fronteggiarli perchè conoscevi il loro modo di reagire.
L'uomo no. Ti inganna, ti raggira, ti deruba.
Non sarei partito per quel viaggio, non era l'avventura che cercavo. non era la sfida che volevo.
Io amo la natura e il suo carattere. Mi piace sapere che cosa sto affrontando, non potrei mai raggiungere qualcosa per fortuna, voglio sapere che sono stato io l'artefice del mio successo.

Quella presa di coscenza mi mortificò moltissimo. Ero deluso di ciò che avevo scoperto, di quello che avevo capito e partire sarebbe stato inutile. Ci sono momenti che devi saper mollare, proprio come un marinaio che non molla gli ormeggi quando le condizioni non lo convincono.
Mi piaceva l'idea di arrivare in Mongolia e ormai avevo ottenuto anche il visto.
Così rielaborai un secondo viaggio, andare da Ulaanbaatar sino a Pechino con la bicicletta attraverso il deserto del Gobi.
Erano circa 1500 km, e stimai una quindicina di giorni di pedalate.
Questo sembrava essere un viaggio adatto a me. Natura, rischio e solitudine.
Il tempo per i preparativi era poco, mancava un mese a luglio e dovevo preparare tutto il necessario.
Mi misi alla ricerca di un volo economico per arrivare sino alla capitale mongola e riuscii a trovarne uno a soli 1200 euro con partenza da Francoforte. Perfetto.
Certo Francoforte era a 1350 km da casa mia, ma anche quello era viaggiare.
 Analizzai la strada e le cartine del deserto del Gobi e mi resi subito conto che c'era veramente poco.
Si capiva comunque che non sarebbe stato un viaggio facile.
Nel poco tempo libero mi allenavo con la mia bicicletta per testare la mia resistenza. Non ero certo un ciclista, ma non era neppure mia intenzione esserlo.
 La cosa difficoltosa era il trasporto delle provviste e dell'acqua.
Dovevo portarmi dietro un notevole quantitativo d'acqua altrimenti il deserto mi avrebbe prosciugato in un baleno.
Immaginandomi il percorso e l'ostilità del luogo che avrei attraversato pensai che la cosa migliore fosse quella di trainare tutto il materiale e le provviste su un carretto.
Naturalmente lo progettai e costruii nella mia officina. In un paio di giorni di lavoro in carretto fu pronto.
Era robusto, un po' troppo pesante, ma funzionava alla perfezione.










Avevo studiato tutto nei minimi dettagli. poteve funzionare da seggiola, da tavolino, era stagno, capiente per tutto il mio occorrente e una bella provvista di acqua.
Un altro problema era l'energia elettrica, necesssaria per il GPS, le torce, il telefono e la macchina fotografica. Dato che mi sarei andato ad infilare in un deserto con il sole sempre all'erta, l'idea di un pannello solare non era poi così da primo della classe!
Acquistai un pannello solare flessibile, circa mezzo metro quadro, che avrei posizionato sulla sommita del carretto ed un'altro, di dimensioni ridotte, che istallai sul manubrio della mountainbike per alimentare il gps.
Sul manubrio istallai una torcia alogena molto potente.
Mi procurai qualche cavetto, freni di ricambio, una falsamaglia per la catena, degli attrezzi e camere d'aria di riserva.
La bicicletta era un vero cimelio, quello che i ciclisti chiamano "cancello". Una caratteristica positiva era che era in ferro, e questo la rendeva robusta e facilmente riparabile.
Se si fosse guastata chiunque con una semplice saldatrice l'avrebbe risistemata.

Un giorno Daniela mi dice di aver guardato sul sito della Lufhtansa che per ogni kg di peso in più sull'aereo avrei dovuto pagare un suplemento di 4 euro al kg.

Cominciai a pesare tutto ed eccedevo di circa 30 kg rispetto al normale. A conti fatti circa 120 euro in più.
Quello che mi faceva pensare era tirarmi dietro tutto quel materiale nella misura di: uno zaino, un enorme pacco con il carretto e l'attrezzatura della bici, la bicicletta smontata.
Daniela cominciò a fare una ricerca su internet per verificare se ad Ulaanbaatar esistessero negozi per acquistare una bicicletta. La ricerca portò i suoi frutti: c'era un negozio adibito alla vendita e al noleggio. I prezzi erano più che ottimi e le bici sembravano anche meglio della mia...
"Ok, la bici la lascio a casa così viaggio più leggero".

Imballai tutto il materiale su un pallet: dentro avevo tutto il necassario per affrontare la mia avventura.
Più mi calavo nei preparativi e più il mio cuore pulsava dalla gioia.
Tutto era pronto, viveri, attrezzatura, entusiasmo ed una la nuova avventura.
Il 6 di luglio eccomi seduto sulla mia vw passat con destinazione Francoforte.
Partii nel primo pomeriggio, prima tappa Bolzano  per dare un'occhiata alle ultime novità nel fornitissimo negozio Sportler.
Arrivai a Francoforte alle 11 del giorno seguente, carico come una balestra ed ottimista.
In aereoporto però cominciarono i primi problemi.
Imbarcando lo zaino e il bancale con l'attrezzatura, mi spararono un conto di 455 euro per il peso in eccesso.
Prossimo allo svenimento, mi rifiutai di pagare perchè mi sembrava eccessivo.
Il peso in eccesso era 7 kg, e loro lo calcolavano a 65 euro al kg... una follia.
Spiegai che il contenuto all'interno non valeva neppure la metà di quel valore di 1 kg.
Bloccai l'imbarco, ma l'operatore aveva già avviato nella complicatissima rete di smistamento bagagli i miei beni.
O pagavo o annullavo. Annullando avrei imbarcato solo il bancale e avrei portato, come bagaglio a mano lo zaino. Il costo sarebbe stato 0. Annullai.
Il tempo stringeva, ma mi dissero di andare verso lo sbarco bagagli, ritirare il tutto e rifare l'imbarco.
Ma dopo una snervante attesa arrivò solamente il bancale, lo zaino era già sull'aereo.
Il tempo per un nuovo imbarco non era sufficiente. Fanculo, mi ricomprerò tutto nella capitale.
Stivarono il bancale in un deposito e mi precipitai sull'aereo pochi secondi prima che il comandante desse l'ordine di chiudere le porte.
Dopo pochi minuti di sconforto, mi riorganizzai la mente per far fronte a questo inconveniente.
Il volo era lungo e avevo molto tempo per pensare.

Il volo fu lunghissimo, dopo un primo scalo a Pechino, feci un'ultimo balzo ad Ulaanbaatar.
Proprio con l'ultimo volo ebbi la possibilità di guardare dall'alto lo sconfinato deserto del gobi.
L'adrenalina tornava a fare capolino ed il mio cuore era irrorato da una nuova fonte di energia.






Lo sbarco fu un po' triste, mi presi il mio zaino e mi incamminai verso l'uscita.
Dall'alto la capitale mongola faceva un po' tristezza, si erigeva immersa in una sperdutissima pianura mista tra il verdeggiante e la polvere del deserto.
Data l'immobilità a cui ero stato sottoposto nelle ultime 48 ore, tra l'auto e l'aereo, decisi di incamminarmi verso il centro.
La periferia era estremamente malconcia. Le persone vivevano in case di lamiera, fango, o nelle gher (le tende tipiche).
Gli animali, a migliaia, si muovevano come le persone nei mercati affollati.
Una polvere finissima si sollevava a mo' di raffiche nell'aria, oscurando la visuale.
La cosa che mi colpì, e che mi accompagnò per l'intero soggiorno, fu l'odore costante degli animali morti lungo le strade.
Questo quadro, insieme agli sguardi minacciosi degli abitanti sempre all'erta nel volermi derubare di quel poco che mi era rimasto, furono il saluto di benvenuto in quella terra così lontana.






La mia passeggiata esplorativa durò 15 km, quando ad un certo punto un'auto mi caricò per condurmi nel centro.
Era l'auto di una scuola guida mongola e al volante c'era una ragazza probabilmente alla prima lezione, perché non le riusciva proprio di a fare andare la macchina diritta.
L'auto era un cimelio dagli ammortizzatori ormai oltre ogni usura. Le strade erano sterrate, piene di buchi e tombini aperti. Il traffico e l'indisciplina alle stelle.
Scambiai le mie prime parole con quegli strani abitanti e non furono affatto rincuoranti.
Mi dissero che era stato un miracolo che nessuno mi avesse derubato in quel tratto di strada.
Stando alle prime dichiarazioni la criminalità nella città e fuori era arrivata a valori mai visti.
Mi portarono in centro, mi trovai un albergo per dormire e mi sistemai.
Nel silenzio e nella solitudine della mia camera fui colto da uno strano sconforto, forse dato dal fuso, dalla polvere che avevo ovunque, dalla guida stravagante della futura patentata, dagli ammortizzatori defunti da anni, dall'odore di carogna nell'aria, dal bagaglio rimasto a Francoforte, dalla decadenza della città o da tutte le cose insieme. Insomma non vedevo nulla di positivo nell'essere li.

Dopo una bella dormita, a stomaco pieno cominciai a riorganizzare la mia avventura.
Cominciavo ad ambientarmi tra quella gente e mi sembravano meno ostili, sebbene non ridessero mai e mi guardassero in cagnesco.
Non avevo moneta, cosi mi affrettai per andare all'ufficio postale per cambiare dei dollari.
Erano circa le 10 del mattino, ed ero nel centro della capitale. Uscendo dall'ufficio postale, mentre mi posizionavo lo spallaccio dello zainetto, un ragazzo in corsa me la  afferra correndo. Reagendo immediatamente e bloccando con forza l'altro capo dello zaino ci troviamo faccia a faccia.
Tiro lo zaino verso di me con lui che lo segue, la mia espressione era decisamente incazzata e mi preparo per tirargli un bel cazzotto. Fortunatamente lui molla la presa e si dilegua a tutta velocità.
Comincio ad odiare quel posto.
Se non fossi stato svelto nel trattenere lo zaino avrei perso tutto. Documenti, visti, soldi, passaporto... errore imperdonabile.
Tornai in albergo e riposi nella cassaforte la metà dei soldi e dei documenti.

Cominciò una snervante ricerca della bicicletta e di un'officina per costruire un nuovo carretto.
Nulla, di biciclette neanche l'ombra.
Passai a setaccio ogni angolo della città, ma le biciclette in Mongolia non erano contemplate.
Essendo la bici uno strumento molto popolare in Cina e per i cinesi, loro per non uguagliarsi a i loro nemici non le usavano. Pazzesco.
 Il giorno seguente, mentre percorrevo una via poco distante dal centro, ad un certo punto mi imbatto in uno strano tipo che sembra avercela a morte con me.
Comincia a farfugliare e a imprecare parole a me incomprensibili, con rabbia e decisione.
Non capivo nulla ed ero ignaro di quale problema potesse avere con me, dato che percorrevamo strade opposte e non ci conoscevamo affatto.
Dopo un po che inveisce mi attacca alla gola lanciandosi verso di me.
Io lo schivo, lasciando che mi superi e lui, perdendo la presa e l'equilibrio, batte la testa contro il mento di una persona che era dietro di me.
Lo sfortunato barcolla per la capocciata, ma l'amico che era con lui tira un potente cazzotto in faccia all'aggressore.
Questo finisce a terra, i due lo raccolgono e lo scaraventano dentro ad un'aiuola.
Una scena veramente impressionante. da sequenza cinematografica.
Mentre l'aggressore si dimena ferito e frastornato tra i fiori ed i rami, noi ci allontaniamo.
Ripenso alla scena, un po' rido ed un po' mi avvilisco pensando a dove mi trovo e da chi mi sento circondato.
Sono lì da due giorni e ho già subito due aggressioni. Il mio amico della scuola guida non aveva poi così torto nel mettermi in guardia sulla violenza che c'è da quelle parti.


Sempre più sconfortato, continuo la ricerca di possibili mezzi per attraversare il deserto, ma non trovo nulla.
Passano i giorni, fortunatamente senza più aggressioni o scippi, ma mi rendo sempre più consapevole che il Gobi non riuscirò ad attraversarlo.
Decido di attraversare il deserto con una moto presa a nolo, ma non noleggiano moto senza fare un tour organizzato.
Provo con l'auto, ma è la stessa cosa, solo auto con conducente.
Ogni direzione è occlusa.
Sono ormai 10 giorni che mi dimeno nella città in cerca di sbocchi.
Prendo degli autobus per uscire dalla città e portarmi in altri paesini, ma non c'è assolutamente nulla. Solo distese d'erba, animali  al pascolo, collinette, che si perdono all'infinito.. .e una puzza tremenda.

Prendo degli autobus che ad un certo punto si fermano per mancanza di strade, ponti crollati e mai più ricostruiti. Non riesco a muovermi e mi sento in prigione.
Mi consigliano il cavallo, da quelle parti pare essere l'unico mezzo veramente affidabile, ma non prendo in seria considerazione il consiglio.
Durante uno dei miei spostamenti con gli autobus, conosco un ragazzo mongolo.
Conosce un po l'inglese e questo mi aiuta, dato che per giorni non ero riuscito a comunicare con nessuno se non con grande fatica.
Lui lavora nel deserto del Gobi come scavatorista presso una miniera e ogni 10 giorni torna a casa dalla moglie e dalla figlioletta.
L'intesa che nasce è di grande aiuto, così si propone di portarmi un po' a zonzo con la sua scassatissima auto.
Giunti a casa sua, in un quartiere di una povertà e squallore indescrivibili, afferriamo auto, bimba, moglie e via, alla scoperta della Mongolia.
Il giorno scorre sereno e veloce tra feste di paese, siti monumentali, fiumi, grotte, e assaggi di ogni cosa commestibile sul pianeta.
Tra le varie schifezze mi costringe a bere il latte di cavallo, simbolo di forza ed energia. La cosa più schifosa mai assaggiata prima.
L'ora tarda e l'ultimo autobus che mi riporta alla capitale, danno fine a quel piacevole incontro.
Addio è la parola che suona nel nostro cuore, anche se la bocca pronuncia un giorno ci rincontreremo.

Percorro nottetempo i 100 km di buche che mi separano dall'albergo.
Dato quello che succede durante il giorno, viaggiare la notte mi preoccupa, ma è inevitabile.
Senza intoppi a mezzanotte infilo la chiave nella toppa della stanza.

Mi muovo con l'autobus intanto che cerco uno scopo per quel viaggio partito male e svolto anche peggio.
Affitto un'auto con conducente per muovermi con più indipendenza, ma maciniamo km di buche e terra in un paesaggio sempre uguale.

Intanto Daniela, sotto mie indicazioni, da casa sta cercando di anticipare il mio volo di rientro.
Una faticaccia, ma è l'unico successo. Un volo mi conduce a Pechino.
In attea del volo per Francoforte, dato il lunghissimo scalo, decido di fare visita alla città.
L'aereoporto è un vero labirinto. Sembra una città del futuro degna dei migliori film di fantascenza.
Trovo un'autobus che mi conduce sino al centro.
La città è un'andirivieni di mezzi di ogni tipo.
Motorini allestiti per ogni uso, con impalcature, bauletti, appendini, insomma adibiti al trasporto dell'impossibile.
Le biciclette, accidenti a loro, scorazzano a centinaia.
Il traffico è contorto ma scorrevole.
Io per muovermi scelgo le mie gambe.
Piazza Tienanmen è popolata di turisti dai frenetici scatti. Mi introduco nella parte vecchia della città. Le case sono disastrate, le vie stracolme di negozi colorati e le persone sono laboriose e sorridenti. Si respira un clima sereno e mi sento bene.
Familiarizzo con due giovani cinesi, che mi fanno da guide tra le vie intricate di quel mondo strano.
Osservo le persone ed il loro muoversi frenetico.